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L’intelligenza artificiale? Crea lavoro e aumenta le vendite

Pubblicato il 07 settembre 2017 da Gianni Rusconi

Uno studio di Capgemini analizza l’impatto della tecnologia sulle dinamiche di business e organizzative delle aziende. Spicca, soprattutto, l’effetto positivo sulla creazione di nuove posizioni e il fatto che le imprese italiane siano molto sensibili al tema.

Moda del momento? Sicuramente. Tecnologia che sta catalizzando gli sforzi e le strategie di marketing di molti vendor? Altrettanto vero. L’intelligenza artificiale è al centro dell’attenzione e da uno studio del Digital Transformation Institute di Capgemini (“Turning AI into concrete value: the successuf implementers toolkit”, che ha raccolto la testimonianza di circa un migliaio di imprese (anche startup) in qualche modo già attive su progetti e iniziative legate all’AI, emerge che i suoi benefici vanno ben oltre la sfera dell’esperienza di intrattenimento dei consumatori.

L’83% dei manager intervistati (di nove Paesi, tra cui l’Italia) conferma infatti la nascita di nuove posizioni all’interno dell’azienda, scongiurando almeno sulla carta il rischio del taglio sostanziale del numero di addetti correlato alla sua adozione.

Nello specifico, si tratta di posizioni a livello senior, con i due terzi delle nuove assunzioni registrate a livello manageriale o di livello superiore: il 41% dei lavori sarà riservato a manager, il 19% a direttori, il 18% a coordinatori, il 15% a dipendenti generici e il 7% alla cosiddetta “C-suite”, il livello di Ceo e top manager

Oltre i tre quinti delle imprese che hanno implementato soluzioni su larga scala (il 63% per la precisione), affermano inoltre che non vi è stata alcuna perdita di personale.

Il fatto, infine, che tre quarti delle società intervistate abbiano registrato un aumento delle vendite del 10%, direttamente legato all’implementazione di questa tecnologia, costituisce indubbiamente un grande volano per il suo futuro sviluppo in azienda. Soprattutto nell’ottica di aumentare i livelli di customer experience (e quindi il grado di soddisfazione del cliente) e di fidelizzazione dei consumatori.

Diminuire lo svolgimento di attività ripetitive e di mansioni amministrative, in modo da poter generare più valore, è l’altro grande beneficio dell’AI.

La stragrande maggioranza delle aziende che l’hanno implementata in modo esteso, in proposito, la vede come uno strumento che semplificherà i lavori più complessi (tesi sostenuta dall’89% degli intervistati) ed è convinto (nell’88% dei casi) che le macchine intelligenti coesisteranno con la forza lavoro esistente.

A fare da traino al fenomeno, confermandosi i settori più attivi sull’intelligenza artificiale, sono le telco, il mondo retail e quello bancario. Automotive e manifatturiero registrano invece, almeno attualmente, il livello più basso di implementazione. Se guardiamo ai singoli Paesi, l’India fa scuola (oltre la metà delle società è impegnata su progetti di AI su larga scala) seguita da Australia e, gradita sorpresa verrebbe dire, dall’Italia.

Nella Penisola le aziende attive in modo organico ed esteso sull’intelligenza artificiale sono il 44% del campione e i manager che le rappresentano sono fra i più convinti sostenitori del fatto che questa tecnologia stia creando nuovi posti di lavoro e non stia mettendo a rischio (lo dice il 64% degli intervistati) le posizioni esistenti.  L’88% delle aziende italiane (una percentuale che supera la media dei progetti di “reskilling” avviati dagli imprenditori esteri, ferma al 71%).ha inoltre già avviato in modo proattivo corsi di formazione/aggiornamento per i dipendenti in modo da gestire l’impatto dell’AI e in questo specifico campo solo l’India può vantare percentuali superiori

In chiave business, il report di Capgemini ci dice ancora che il 63% delle aziende italiane si aspetta di aumentare del 20% i propri investimenti nell’intelligenza artificiale nei prossimi cinque anni, il 78% ha incrementato il numero di nuovi clienti e l’83% ha visto crescere le vendite di prodotti e servizi nuovi e tradizionali. Poco meno di un’organizzazione su dieci, infine, ha ottenuto un miglioramento della produttività dei dipendenti e dell’efficienza operativa mentre l’80% ha confermato di aver migliorato il processo decisionale interno all’azienda.

 

 

Ecco le professioni dell’intelligenza artificiale

Cosa faranno, esattamente, gli specialisti dell’AI all’interno delle imprese? La risposta, con tanto di curiosi neologismi per descrivere le nuove professioni digitali, arriva da una recente indagine di Accenture. Si tratta di figure oggi sconosciute, nella maggior parte dei casi oggi non esistenti, che richiedono abilità e formazione senza precedenti, si legge testualmente nel rapporto.

L'automation ethicist, per esempio, risponde al profilo di un esperto di intelligenza artificiale che studia l’impatto etico e sociale delle macchine e dei dispositivi intelligenti. Al suo fianco opereranno profili specializzati nel valutare l'utilità delle tecnologie come gli AI usefulness strategist e altri, gli emphaty trainer, preposti ad educare all'empatia gli assistenti virtuali come Siri di Apple, il Google Assistant o Alexa di Amazon.

L'analisi di Accenture raggruppa le nuove professionalità in tre macro-settori, categorizzandole rispetto alla della funzione svolta: trainers, explainers e sustainers. I primi saranno chiamati a istruire gli algoritmi su come eseguire i propri compiti, magari spingendosi oltre la meccanicità delle funzioni di base. Le aziende potrebbero avere bisogno di specialisti capaci di far comprendere ai bot le sfumature e il significato non letterale delle frasi (Customer-language tone and meaning trainer) o insegnare alle macchine a imitare i comportamenti dei dipendenti umani (smart-machine interaction modeler).

Gli explainers avranno la funzione di ridurre il gap tra sviluppi tecnologici e applicazioni concrete a livello di business: in altre parole, come tradurre le sperimentazioni di intelligenza artificiale in valore aggiunto per le imprese e i rispettivi manager. Rientrano in questa categoria gli “usefulness strategist”, oltre ad altre tipologie di divulgatori in grado di mostrare ai comuni addetti aziendali come funzionano le soluzioni più innovative.

I sustainers, infine, sono le figure deputate a valutare e controllare l'impatto delle tecnologie di intelligenza artificiale, promuovendo o bocciando per esempio gli algoritmi sperimentati in base a precisi indicatori di performance (compito specifico dei Machine relations manager).

Questo il quadro descritto da Accenture. Altri ruoli potrebbero nascere e altri modificarsi in corso d’opera. Qualcosa, dentro gli staff delle grandi aziende tech e delle startup che lavorano in campo AI, già si può vedere.

 

Tag: digitale, intelligenza artificiale, machine learning

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