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La business mobility non decolla? La sicurezza c’entra poco

L’utilizzo dei dispositivi mobili in azienda nasconde ancora contraddizioni, evidenziate da due studi condotti fra i responsabili It europei e le Pmi italiane. I timori per la sicurezza sono risolvibili, rinunciare al cambiamento è un grave pericolo per la crescita.

Pubblicato il 25 novembre 2015 da Valentina Bernocco

L’utilizzo dei dispositivi mobili in azienda nasconde ancora contraddizioni. Le evidenziano due diversi studi condotti fra i responsabili It europei e le Pmi italiane. I timori per la sicurezza sono risolvibili, mentre rinunciare al cambiamento è un grave pericolo per la crescita.

Non si può stare senza il mobile. O meglio, le aziende possono farlo, ma a loro rischio e pericolo. Pur senza negare i legittimi timori legati all’impiego di smartphone e tablet da parte dei dipendenti (sia all’interno degli uffici, sia per lavorare o collegarsi ad applicazioni aziendali da remoto), due colossi tecnologici come Vmware e Microsoft hanno ribadito la necessità di progredire verso un modello di “smart working”, più libero e flessibile negli orari, nei luoghi e negli strumenti della produttività. I dispositivi mobili e le app (insieme al cloud computing) ne sono un ingrediente fondamentale.

Il Vmware “Business Mobility Report” ha interpellato poco meno di 1.200 fra professionisti dell’It e manager di altrettante aziende, dislocate fra Stati Uniti, Canada, Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda, Germania, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi e Italia.

Proprio qui, nello Stivale, la disponibilità ad accogliere strumenti di lavoro come smartphone e tablet viene legata all’esigenza di evitare noti rischi, quali la maggiore esposizione alla perdita di dati o ad attacchi informatici.

In Italia, infatti, arriva al 66% (contro la media Emea del 55%) la fetta di intervistati per cui la sicurezza è la priorità da salvaguardare in qualsiasi politica di adozione del mobile; seguono, come requisiti in primo piano, l’efficacia della forza lavoro mobile (citata dal 53% dei professionisti italiani) e una migliorata esperienza utente (38%).

Se queste sono le priorità e i desideri, nel concreto l’adozione del mobile è però un frutto acerbo o, in molti casi, appena addentato: soltanto il 22% degli intervistati dell’area Emea ha ritiene di far parte di un’azienda che ha adottato un modello di business mobility per almeno un processo chiave dell’organizzazione.

Per sveltire il processo si dovrebbero superare alcuni ostacoli di budget (il primo fattore citato, dal 49% dei rispondenti) e, ancora una volta, alcuni scrupoli sulla sicurezza (34%).

Non passare a questo, più agile e fruttuoso, modello di lavoro è comunque penalizzante. Coloro che lo sperimentano, infatti, riconoscono miglioramenti nella produttività di chi opera al di fuori dell’ufficio (ne parla il 52% del campione Emea), nell’ottimizzazione dei processi aziendali (51%) e nella riduzione di alcuni costi (37%). Il ritorno sull’investimento, inoltre, arriva in tempi brevi e supera di una volta e mezzo la spesa iniziale.

Che lezione possiamo trarne? “È lecito che i reparti It chiedano come affrontare la sicurezza mobile, e come le infrastrutture e le risorse esistenti possano essere utilizzate per massimizzare il Roi, ma tali questioni sono risolvibili”, ha commentato a margine del report Alex White, vice presidente, end user computing Emea di Vmware. 

“Chi ha adottato una strategia mobile-first ha ottenuto vantaggi significativi sulle operazioni di business. Questo studio dimostra che, quando si parla di mobilità aziendale, correre dei rischi è il rischio minore”.

Un rischio che va comunque arginato, sia con adeguate policy di sicurezza sia facendo il modo che l’It condivida le richieste che arrivano dai manager.

“Per rimanere competitive”, ha concluso White,“le aziende devono adattarsi all'ambiente in continua evoluzione in cui operano. Incoraggiare il cambiamento per adattarsi non è più solo una parte di un business plan, ma uno strumento essenziale di sopravvivenza”.

 

Alla ricerca dell’equilibrio fra lavoro e vita privata
La voglia di cambiamento che serpeggia nelle piccole e medie aziende, anche nostrane, è confermata da un’indagine commissionata da Microsoft a Ipsos Mori (“I dipendenti delle Pmi e la tecnologia”, condotta su 5.500 professionisti di 15 Paesi Europei).

Fra gli intervistati italiani, il 40% dei dipendenti d’azienda ha detto di utilizzare sul lavoro o per lavoro uno smartphone personale, mentre il 30% usa un Pc portatile di sua proprietà e il 17% un tablet. Percentuali che superano di qualche punto la media degli altri Paesi europei.

Alla domanda su quale iniziativa suggerirebbero ai propri datori di lavoro per favorire il successo dell’azienda, il 37% risponde citando l’utilizzo di strumenti mobile (smartphone, tablet e computer portatili) e allo stesso tempo il cloud computing (infrastruttura, servizi, applicazioni di collaboration o Crm).

Per la nuvola, sottolinea Microsoft, lo scenario è in rapida evoluzione, tant'é che il numero delle Pmi clienti di Office 365 e Azure è salito del 200% in un anno, fra il trimestre luglio-settembre del 2014 e quello del 2015.

Va poi sottolineato come un’azienda di successo sia anche un’azienda i cui dipendenti sono soddisfatti delle proprie giornate lavorative, e in tal senso il mobile può aiutare: per il 62% degli addetti di Pmi italiane, può migliorare la produttività e ottimizzare l’uso del tempo.

Può, in sintesi, contribuire all’obiettivo dell’equilibrio fra lavoro e vita privata, il “work-life balance”, citato dal 74% degli intervistati italiani come necessario per dirsi contenti della propria carriera (giusto sotto all’elemento del salario, 79%, e al fattore sicurezza/stabilità, 75%).

 

Tag: CLOUD COMPUTING, BYOD, smartphone, Microsoft, digitale

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