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La digital transformation fa bene, le Pmi viaggiano lente

Le aziende che sfruttano le nuove tecnologie il loro business sono più veloci in fatto di go-to-market e registrano crescite a due cifre sui ricavi provenienti da new business. Ma le imprese italiane devono cambiare approccio per rimanere al passo con il mercato.

Pubblicato il 18 ottobre 2016 da Piero Aprile

Le aziende che sfruttano le nuove tecnologie per trasformare uno o più aspetti chiave del loro business sono più veloci in fatto di go-to-market e registrano crescite a due cifre per i ricavi provenienti da nuove fonti di business. Un report del Censis evidenzia come gli investimenti nelle soluzioni per lo smart manufacturing sono in aumento, ma le aziende devono cambiare approccio per rimanere al passo con il mercato.

La spesa mondiale in tecnologie per la transformazione digitale supererà a livello globale i 2.100 miliardi di dollari nel 2019, andando a pesare per oltre il 50% sul totale della spesa destinata alle soluzioni di information e communication technology. Tra tre anni, in altre parole, la maggior parte degli investimenti aziendali in tecnologie informatiche sarà destinata ai processi basati sull’uso degli strumenti digitali.

Lo scenario dipinto da Idc conferma dunque il progressivo spostamento dei budget Ict verso i progetti di digital transformation, e quindi (secondo gli analisti) il processo attraverso il quale un’azienda apporta o si adatta a un cambiamento radicale nel proprio mercato (la cosiddetta “disruption”) facendo leva su tecnologie e competenze digitali per innovare e migliorare modelli di business, prodotti e servizi, efficienza operativa e prestazioni aziendali.

Il fenomeno è in costante e sostanziale ascesa considerando che l’incidenza sulle spesa delle aziende registrata nel 2015 era di poco sopra al 30% e si fermava al 28% nel 2014, anno in cui la società di ricerca americana ha iniziato a monitorare il fenomeno. Già nel 2016, la componente digital è destinata a superare il 35%, per un valore di poco superiore ai 1.300 miliardi di dollari per superare il 40% nel 2017 e arrivare a toccare il 52% nel 2019, quando oltrepasserà sensibilmente il tetto dei 2.000 miliardi.

La sensibilità verso il “paradgma” digitale c’è ed è globale ma come ha ricordato un recente studio realizzato dal Censis su commissione di Make in Italy (“Dallo smontaggio della città-fabbrica alla nuova manifattura urbana”), l’Italia è al venticinquesimo posto in Europa - davanti solo a Grecia, Bulgaria e Romania - nel “Digital economy society index 2016” elaborato dalla Ue.

Un dato che mette la Penisola dietro la lavagna nonostante gli investimenti nel digitale nel nostro Paese siano aumentati negli ultimi dieci anni di quattro punti percentuali, con un’accelerazione più decisa tra 2015 e 2016.

La trasformazione digitale, questo l’assunto dello studio, è una condizione necessaria non soltanto per lo sviluppo delle grandi imprese coinvolte dalla quarta rivoluzione industriale, ma anche per gli artigiani e le piccole e medie imprese, che possono attraverso le nuove tecnologie ottenere risultati importanti riducendo i costi e aumentando efficienza e competitività.

Anche le Pmi, insomma, devono abbracciare le tecnologie per lo smart manufacturing ed essere direttamente coinvolte nel processo irreversibile della digital transformation, dotandosi di sistemi intelligenti per operare in modo flessibile e veloce a livello di produzione e di logistica.

Detto che il peso dell’e-commerce sul fatturato delle Pmi è salito nel 2015 a un  valore medio dell’8,2% (contro il 4,9% del 2014), secondo le rilevazioni del Censis i progressi sono ancora troppo lenti e toccano anche la sfera degli strumenti digitali di comunicazione verso il mercato e i clienti, come il sito Web e i social media (i cui indicatori sono ancora al di sotto della media europea).

A detta del Censis, “è di conseguenza sempre più necessaria una nuova gestione dell'azienda, che deve essere ripensata per rimanere al passo con un mercato sempre più globale e veloce e per raggiungere competitor di altri Paesi più digitalizzati”.

 

Le aziende della Penisola si sentono più innovative

Fra la trasformazione digitale e i risultati economici delle aziende italiane c’è una connessione diretta: più la prima è percepita e adottata, più le performance tendono a crescere. Lo dice una recente indagine (“Keeping Score: Why Digital Transformation Matters”), condotta su un campione mondiale di 1770 responsabili delle linee di business e dell’It (anche italiani), condotta da Coleman Parkes Research per conto di CA Technologies.  

Stando alla ricerca, le aziende italiane che si avvalgono di tecnologie e metodologie avanzate per trasformare uno o più aspetti chiave del loro business ottengono un incremento del 33% della velocità di go-to-market e una crescita del 30% dei ricavi provenienti da nuove fonti di business. Il 68% dichiara inoltre di aver registrato un miglioramento della customer experience.

Il numero di imprese della Penisola che si percepiscono particolarmente innovative o “disruptor digitali”, questo un altro interessante indicatore emerso dallo studio, è  significativamente più alto che in qualsiasi altro Paese Emea e precisamente pari all’84%, rispetto a una media del 62%.

Le aziende italiane nutrono coerentemente grande fiducia negli investimenti effettuati in ambito digitale: circa il 73% degli intervistati ritiene di essere “abbastanza o nettamente avanti” rispetto alla concorrenza grazie a quanto investito e tale percentuale colloca il Belpaese dietro la Francia (85%) e la Germania (84%), ma davanti a Regno Unito, Paesi Bassi e Svezia, tutti attestati al 66%.

Le criticità per le aziende nostrane impegnate nella trasformazione digitale ovviamente non mancano e sono sostanzialmente tre: l’adozione di tecnologie per migliorare l'interazione con i clienti (citata nel 92% dei casi), l’investimento in risorse con competenze adeguate (89%) e la definizione di una vision per una nuova azienda digitale (89%).

In base ai 14 indicatori di prestazioni chiave della “Digital Transformation Business Impact Scorecard” creata Coleman Parkes Research, in termini di agilità del business le organizzazioni italiane intervistate hanno migliorato non solo la velocità decisionale e del time to market nello sviluppo di nuove applicazioni e i volumi di fatturato legate alle iniziative digitali messe in campo ma anche la customer experience e l’efficienza operativa.

Il 68% delle aziende censite, infatti, conferma un sensibile aumento della fidelizzazione e della customer satisfaction (rispettivamente del 35% e del 31%) a fronte dei progetti di trasformazione digitali intrapresi e un altrettanto significativo incremento (35%) dell’efficienza dei processi e della produttività (36%).

 

Tag: Italia, digitale, innovazione, digital manufacturing

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