Le memorie flash del futuro parlano la lingua dei Big Data
Intel e Micron hanno avviato a fine luglio la produzione di una classe di chip di memoria non volatile, la 3D Xpoint, mille volte più veloce (e duratura) delle Nand. L’obiettivo: aumentare le prestazioni di computer e data center. Ecco, secondo gli analisti, cosa potrebbe succedere a valle di questa innovazione.
Pubblicato il 06 agosto 2015 da Alessandro Andriolo

Intel e Micron hanno avviato a fine luglio la produzione di una classe di chip di memoria non volatile, la 3D Xpoint, mille volte più veloce (e duratura) delle Nand. L’obiettivo: aumentare le prestazioni di computer e data center. Ecco, secondo gli analisti, cosa potrebbe succedere a valle di questa innovazione.
La tecnologia di memoria flash potrebbe aver trovato una valida alternativa, in grado di annichilire le prestazioni di quello che fino a oggi è stato il più veloce supporto per archiviare informazioni su computer e altri sistemi.
Intel e Micron hanno infatti annunciato a fine luglio la tecnologia 3D Xpoint (la X sta per “cross point”), una memoria non volatile che promette performance, e nello specifico durata e velocità, fino a mille volte superiori rispetto alle unità Nand. La nuova tecnologia è già in fase di produzione, dovrebbe arrivare i nforma di campionautura entro fine anno ad alcuni colossi hi-tech come Google e Facebook (per i rispettivi data center) e vedere il mercato (forse) nel 2016.
Definiti, si fa per dire, i tempi del suo ingresso in campo perché è importante questo annuncio nel processo di innovazione/evoluzione del computing?
Per diversi motivi, e il primo fra questi ha a che vedere con l’obsolescenza. La tecnologia flash è infatti decisamente datata, risale infatti al 1989, e in particolar modo per gli standard informatici. A detta di Mark Adams, Presidente di Micron, “uno degli ostacoli più significativi del computing è oggi costituito dal tempo richiesto al processore per accedere ai dati presenti nei dispositivi di storage a lungo termine”.
Ed è proprio sulla latenza, parametro espresso in milli e microsecondi nel caso delle memorie Hdd e Nand rispettivamente, che la nuova memoria non volatile va ad intervenire, consentendo l'accesso a enormi insiemi di dati a livello di nanosecondi (miliardesimi di secondo).
L'innovativa architettura cross point senza transistor di Intel e Micron, invece, crea una scacchiera tridimensionale in cui i conduttori perpendicolari connettono 128 miliardi di celle di memoria ad alta densità, ognuna delle quali archivia un singolo bit di dati.
Così facendo, i dati possono essere scritti e letti in piccole dimensioni, con processi più veloci ed efficienti e portando la latenza nel campo dei nanosecondi.
Gli altri ingredienti che rendono innovativa la tecnologia sviluppata da Intel e Micron sono riconducibili in particolare alle celle di memoria impilate in più strati, che riprendono il concetto già esplorato in altre soluzioni di storage a tecnologia Nand che sfruttano transistor tridimensionali.
Attualmente, è possibile archiviare 128 Gbyte per die su due strati di memoria, mentre in futuro i “livelli” potranno essere aumentati.
Inoltre, le celle sono accessibili e vengono scritte o lette variando l'entità della tensione inviata a ogni selettore. In questo modo, come detto, si elimina la presenza dei transistor.
Queste caratteristiche, insieme a un nuovo algoritmo di scrittura veloce, permettono alla celle di cambiare stato più rapidamente rispetto a qualsiasi altra tecnologia di memoria non volatile oggi disponibile sul mercato.
I chip 3D Xpoint, realizzati con processo produttivo a 20 nanometri dopo oltre dieci anni di ricerca, offrono inoltre una densità fino a dieci volte maggiore rispetto alle memorie convenzionali e si prestano ad applicazioni in diversi campi applicativi, dal machine learning al monitoraggio in tempo reale delle malattie fino al gaming in risoluzione 8K.
Anche il retail e la sanità rientrano fra i settori interessati da questa tecnologia, e più precisamente gli operatori del commercio potranno impiegarla per identificare più rapidamente modelli di rilevamento di frodi nelle transazioni finanziarie, mentre i ricercatori in campo medico saranno in grado di elaborare e analizzare set di dati più ampi in tempo reale, accelerando attività come l'analisi genetica e la sorveglianza epidemiologica.
Più in generale, lo sviluppo a grandi passi del mondo digitale (si passerà, a detta di Idc, dai 4,4 zettabyte di dati creati nel 2013 ai 44 zettabyte previsti entro il 2020) esalterà una delle peculiarità delle memorie 3D XPoint, e cioè quella di saper trasformare immense moli di dati “grezzi” in informazioni sensibili in pochi nanosecondi.
Cosa significa l’annuncio per l’industria dei chip e il mercato
Del possibile merge fra Intel e Micron si parla da tempo. L’annuncio delle nuove memorie volatili avvicina ulteriormente le due compagnie e rafforza l’ipotesi che il matrimonio si sancisca per davvero.
La ragione di questa unione non sta ovviamente nel sentimento ma in un preciso interesse, che è quello di superare gli ostacoli eretti dalla cosiddetta seconda legge di Moore: al crescere dei costi di produzione (dei componenti al silicio) scendono i margini di guadagno.
Dietro l’annuncio della tecnologia 3D XPoint vi sono quindi motivazioni di pura matrice economica e basta guardare all’andamento dei titoli in Borsa delle due società nel corso di quest’anno (Intel in discesa del 20% e Micron addirittura del 41%)
A pesare sui destini delle due compagnie vi sono inoltre altri fattori, sempre di natura finanziaria. Per Micron l’abbondanza di offerta di memorie Dram e la persistente vulnerabilità rispetto a una possibile fusione (la cinese Tsinghua Holdings avrebbe messo sul piatto 23 miliardi di dollari). Su Intel grava invece l’aumento dei costi per i nuovi macchinari non ammortizzato del tutto con la produzione a volumi in conto terzi.
La mossa (l’unica, secondo alcuni esperti) è dietro l’angolo: una fusione fra le due società, o per meglio dire l’acquisizione di Micron ad opera di Intel. La prima ha una capitalizzazione di mercato di circa 22 miliardi di dollari, Intel di 137 miliardi e un debito di 12 miliardi (basso per un’azienda che possiede fabbriche) su asset di 90 miliardi; tradotto in altri numeri potrebbe senza grossi problemi investire 14 miliardi di dollari (fra contanti e azioni) per accorpare le attività di ricerca e sviluppo sue e di Micron scorporando con uno spin off le attività di produzione.
Così facendo la concorrenza di Taiwan Semiconductor, che ha un rapporto debito-asset di circa il 20%, si sentirebbe meno e l’ipotesi che il governo cinese possa mettere le mani su un chip maker americana verrebbe (almeno per il momento) messa in un angolo. Ma prima serve che le due aziende del silicio a stelle e strisce convolino a nozze.
Ha collaborato Piero Aprile
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