Crisi e opportunità nel "new normal", indietro non si torna
Il settore dei beni di consumo riporta le cicatrici lasciate dai lockdown, ma raccoglie anche i frutti di sperimentazioni e novità tecnologiche.
Pubblicato il 27 agosto 2021 da Valentina Bernocco

Indietro non si torna: in un mondo che è cambiato radicalmente, anche il settore dei retail è alle prese con un una “nuova normalità” che porta il segno degli sconvolgimenti della pandemia di covid ma che anche è - e deve essere - proiettata verso il futuro. Il commercio al dettaglio, fatta eccezione per l’alimentare, ha risentito del generale clima di incertezza economica al punto che, secondo Federdistribuzione, nel settore sono a rischio 200mila posti di lavoro. In moto contrario, tuttavia, lo scorso anno sono cresciuti gli acquisti in e-commerce, per una doppia dinamica di incremento della domanda (consumatori che non potevano uscire di casa e negozi chiusi durante i lockdown) e dell’offerta (operatori che per la prima volta, giocoforza, hanno attivato canali di vendita alternativi). Secondo i dati Istat, nel 2019 in Italia la percentuale di imprese che fornivano sui propri siti Web informazioni sui prodotti in offerta erano solo il 33,9% del totale; nel 2020 la quota è salita al 55,5%.
D’altra parte pandemia, lockdown e accelerazione digitale sono fattori di cambiamento che s’innestano su una precedente trasformazione di lungo corso, almeno decennale, determinata dagli sviluppi dell’e-commerce, del marketing multicanale, dell’uso dei social media come vetrina e canale di vendita, dai pagamenti digitali, dall’ingresso dei chatbot nel servizio clienti. Moderne piattaforme Crm ed Erp, analytics, marketing automation sono ingredienti tecnologici ormai irrinunciabili per ottimizzare qualsiasi attività, dall'inventario alle comunicazioni con i clienti, dallo studio nuovi prodotti alle strategie di vendita.
L’utilizzo dei dati
Come altri ambiti, e forse ancor di più, quello dei beni di consumo genera una valanga di dati: dalla produzione alla logistica, dalle attività di magazzino alla vendita, senza dimenticare il complesso mondo dei consumatori (chi sono, che cosa comprano, come comprano, quali desideri e valori inseguono, che cosa pensano del brand, e via dicendo). Tutti questi dati possono essere tradotti in vantaggio competitivo, sono cioè monetizzabili, ma quanto vengono effettivamente sfruttati?
Secondo un’indagine di Capgemini Research Institute, realizzata nel 2020 su oltre mille grandi imprese, nel settore dei prodotti di consumo e retail circa il 43% degli intervistati crede che la propria azienda operi con un modello di business completamente basato sui dati. La percentuale non è bassissima, ma notevolmente inferiore a quella di altri settori, come quello bancario (63%), l’assicurativo (55%), le telecomunicazioni (54%). Non mancano però, anche in ambito retail, alcuni casi d’avanguardia nell’utilizzo dei dati. In risposta alla pandemia, negli Stati Uniti l’anno scorso Walmart ha lanciato un servizio di consegna in due ore basato su analisi di intelligenza artificiale. In Giappone, per esempio, l’associazione nazionale di servizi meteorologici e la prefettura di Fukuoka hanno coinvolto i retailer locali in un’iniziativa di riduzione degli sprechi alimentari: i dati delle previsioni meteo vengono analizzati e correlati a statistiche di vendita e dati tratti dai social media per stimare l'andamento della domanda per oltre 600 prodotti. Con questo metodo la catena Tojin Bakery ha ridotto del 15% gli sprechi e incrementato del 12% le vendite in uno dei suoi negozi.
I desideri degli italiani
Un sondaggio realizzato a maggio di quest’anno da The Innovation Group su 370 consumatori italiani maggiorenni (un campione rappresentativo dell’audience di Internet) ha svelato che la percentuale di internauti che acquistano in e-commerce è salita dal 59% dei tempi pre pandemia al 77%. Ed è anche aumentata la spesa media, perché tra chi già prima faceva acquisti online il 66% li ha incrementati. Il cosiddetto “new normal” (che già stiamo vivendo, ma che dovrà consolidarsi in uno scenario di lungo periodo) darà spazio a diverse modalità di acquisto: si prevede, con il ritorno alla piena normalità, che una parte dei “nuovi adepti” dell’e-commerce torni a comprare soprattutto nei negozi tradizionali, ma tra costoro almeno un 5% non smetterà di fare shopping su Internet. Tra gli habitué del commercio elettronico, invece, il 41% si rivolgerà di volta in volta al Web oppure ai negozi, a seconda della convenienza e comodità del momento, mentre è di appena il 4% la quota di coloro che acquisteranno solo online.
In fondo, lo sconvolgimento della pandemia ha, sì, accelerato alcune dinamiche ma ha soprattutto confermato lo scenario di esperienze di acquisto “ibride”, esistente già in precedenza. Di conseguenza, gli operatori del retail, grandi o piccoli che siano, devono ragionare in ottica di omnicanalità, strutturando le proprie attività di marketing, vendita e supporto clienti sia sui canali tradizionali sia su quelli digitali: rinunciare a una delle due componenti significa perdere una parte di clientela e di guadagni. Dalla ricerca emerge anche una discreta disponibilità dei consumatori italiani a concedere i propri dati alle aziende: la percentuale varia a seconda delle fasce d’età, ma in media il 44% degli intervistati non ha problemi a condividere informazioni personali quando fa acquisti online.
Dove fanno acquisti online gli italiani? E quali suggerimenti propongono gli analisti per il rilancio del settore retail? Che ruolo avranno in questo settore le tecnologie di intelligenza artificiale? Vi invitiamo a proseguire la lettura sullo sfogliabile di Technopolis n.48!
E-COMMERCE
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