Il centro dati si trasforma: il dilemma dei Cio per ottimizzarlo
Una ricerca svela come oggi, più di un anno fa, i chief information officer europei facciano fatica a definire una strategia per ottimizzare le risorse delle sale macchine. Gli ostacoli? Elementi disruptive.
Pubblicato il 20 ottobre 2014 da Piero Aprile

Una ricerca svela come oggi, più di un anno fa, i chief information officer europei facciano fatica a definire una strategia per ottimizzare le risorse delle sale macchine. Gli ostacoli? Elementi disruptive. Che riaprono il problema della sicurezza e dello storage dei dati.
Forze distruttive, a volte in contrasto fra loro, stanno accelerando la trasformazione dell’It in azienda. Il dibattito è noto: l’esplosione dei dati, la transizione verso il mobile, la diffusione dei social network e ancor di più il cloud computing stanno modificando tanto le infrastrutture informatiche quanto i processi e le strategie di molte organizzazioni.
Quello che però non sempre viene sottolineato è come queste forze possano anche rallentare l’evoluzione tecnologica, per esempio qualora i decisori aziendali (Cio e non solo loro) non siano in grado di calcolarne tutti i rischi e le conseguenze. Oppure qualora si compiano errori di valutazione sulle capacità necessarie al proprio data center.
A fare luce sulla questione corre in aiuto uno studio promosso da Colt, che ha censito oltre 500 decisori It (in ambito infrastrutture) a livello europeo. L’indagine ha evidenziato che, rispetto a un anno fa, oggi è più difficile delineare strategie coerenti e rapide per la gestione e la trasformazione dei data center. Paradossalmente, mentre il ritmo dell’innovazione informatica diventa più serrato, i piani di aggiornamento riguardanti i centri dati rallentano. Il 62% degli intervistati, in media, ha parlato in tal senso di cicli di cambiamento più estesi nel tempo.
Il problema, secondo Colt, è subito riassunto: l’interazione social, il mobile, il cloud e i Big Data sono una priorità tecnologica per molte aziende ma il rallentamento dei processi strategici relativi ai data center, in un momento in cui dovrebbero invece essere veloci ed efficienti, è un elemento preoccupante. Tanto più che altri studi dimostrano come almeno un responsabile It su cinque sia convinto che la propria struttura di data center non sia in grado di stare al passo con i cambiamenti.
L’impatto dell’Internet delle cose
Entro il 2020 gli oggetti connessi attivi sul pianeta saranno qualcosa come 26 miliardi. Ed è partendo da questo numero che Gartner prefigura una nuova sfida per chi gestisce i data center. L’Internet of things, questo l’assunto, si porta dietro effetti che potenzialmente possono trasformare tecnologie, dinamiche di offerta e domanda, modelli di vendita e di marketing.
Dove stanno le turbative l’ha riassunto in modo esemplare Fabrizio Biscotti, research director della società di consulenza americana: l’implementazione delle soluzioni Iot andranno a generare grandi quantità di dati che dovranno essere elaborati e analizzati in tempo reale, e di conseguenza aumenteranno in proporzione i carichi di lavoro dei data center.
Per aziende, Cio e vendor It, insomma, sono all’orizzonte nuove complessità da affrontare in fatto di sicurezza e di capacità di elaborazione e di analisi. I vantaggi insiti nel collegare risorse e dispositivi remoti a un sistema centralizzato, attraverso un flusso di informazioni in real time (integrando tali attività in nuovi processi organizzativi), sono evidenti. Sotto il profilo della produttività e quello delle dinamiche decisionali. È però altrettanto vero che l’enorme numero di dispositivi in gioco, accoppiato con il volume e la struttura dei dati generati dall’Internet degli oggetti, aggiunge nuovi fronti di complessità da superare, per esempio in fatto di gestione e ottimizzazione dello storage, dei server e della rete.
I responsabili dei data center dovranno distribuire in modo più lungimirante le capacità in queste aree per poter soddisfare in modo proattivo le priorità di business associate al fenomeno Iot. Le esistenti infrastrutture di rete Wan, in particolare, appaiono come un fattore critico perché dimensionate sulle tradizionali interazioni fra persone e applicazioni.
L’Internet delle cose cambierà le carte in tavola, proprio perché aumenterà in modo massivo la quantità di comunicazioni che i sensori invieranno ai data center per essere processati, e di conseguenza la capacità di banda necessaria. Verrà meno, questo il possibile scenario, la tendenza a centralizzare le applicazioni per ridurre i costi e aumentare la sicurezza; molte organizzazioni saranno costrette ad aggregare i dati in più mini data center distribuiti dove trattare inizialmente le informazioni in arrivo da remoto per poi convogliare successivamente i dati rilevanti in un sito centrale.
Effettuare il backup di enormi volumi di informazioni grezze non sarà per i Cio e responsabili It un compito facile. Problemi di governance potenzialmente insolubili potranno arrivare inoltre dalla larghezza di banda della rete e dello storage remoto. Il paradigma del software defined data center, e di fatto quello di un’architettura informatica completamente virtualizzata e flessibile non è mai stato così reale come oggi.
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