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La corsa a nove zeri dell’Internet of Things nella sanità

Secondo uno studio di TrendForce, gli investimenti su scala mondiale per i servizi IoT in questo settore cresceranno fino a 30 miliardi di dollari entro il 2018. La sanità digitale in Italia però non decolla e resta il divario fra le Regioni. La soluzione? C'è.

Pubblicato il 14 dicembre 2015 da Piero Aprile

L’innovazione in campo medico passa per la robotica, i Big Data, le tecnologie cloud e per l’Internet delle cose. Secondo uno studio di TrendForce, gli investimenti su scala mondiale per i servizi IoT in questo settore cresceranno fino a 30 miliardi di dollari entro il 2018. La sanità digitale in Italia però non decolla e resta il divario fra le  Regioni. La soluzione? Razionalizzare la spesa.

Ulteriori passi avanti nella diagnostica, nella telemedicina, nella gestione/elaborazione dei bio-dati e nel rapporto paziente-medico: questa la promessa che portano in dote le soluzioni Internet of Things di ultima generazione nel settore sanitario e ospedaliero.

E di pari passo con l’innovazione tecnologica è lecito aspettarsi anche un sostanzioso aumento dell’economia legata all’adozione di queste soluzioni. Stando infatti allo studio “Global Spending on Smart Health Services, 2016 – 2018” diffuso da TrendForce, la spesa globale per i servizi IoT based potrebbero arrivare entro il 2018 a quota 30 miliardi di dollari in virtù di tasso di crescita composito annuo del 60% per i prossimi 36 mesi.

Uno sviluppo poderoso, quello del settore smart healthcare, che secondo gli analisti interesserà direttamente ed indirettamente anche altre applicazioni, dalla robotica ai sistemi M2M, dalle piattaforme cloud (gli investimenti nei servizi nella nuvola toccheranno quota sette miliardi di dollari entro il 2016) alle app mobili (per gestire referti, prenotazioni di prestazioni specialistiche, pagamenti e altri servizi offerti dalle aziende ospedaliere) ai dispositivi indossabili.

Un sistema sanitario appoggiato al cloud, per esempio, è in grado di integrare le informazioni relative a quattro servizi basilari come trattamento, gestione della salute, cure mediche e medicina preventiva su una singola piattaforma. Con l’obiettivo dichiarato di migliorare la gestione complessiva dei rapporti con i pazienti e lo storico delle cartelle cliniche personali.

Anche il supporto infermieristico robotico potrebbe costituire una grande opportunità per la sanità 2.0, sia per quanto riguarda l’assistenza vera e propria sia per le funzioni comunicative e di compagnia. Un esempio virtuoso arriva da Singapore, dove l’umanoide “RoboCoach” opera da assistente allo svolgimento di un esercizio fisico regolare e corretto aiutando il paziente a mantenersi in forma con una serie di programmi su misura, suggerimenti e stimoli.

L’effetto benefico della massiccia introduzione di tecnologia in campo sanitario, comprendente apparecchiature medicali di nuova generazione e strumenti avanzati di analisi dei Big Data, questa almeno la proiezione emersa dallo studio, porterà non solo ad innalzare lo standard qualitativo dei servizi ma anche a un progressivo abbassamento dei costi di gestione e dei costi per le cure di una popolazione globale soggetta a progressivo invecchiamento.

Oggetti e tecnologie intelligenti, concludono gli analisti, contribuiranno a trasformare i servizi sanitari in modo che essi diventeranno più flessibili e aperti, sia nella modalità con cui viene erogata l’assistenza clinica e non clinica, che nella tipologia di servizi stessi. Ad esempio, sistemi e piattaforme di registrazione pazienti in forma elettronica  potranno avere impatti positivi sulla gestione delle pratiche di pre-ospedalizzazione.

RoboCoach

 

Sanità digitale italiana in ritardo: serve intervenire sulla spesa

Da tempo l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico internazionale, raccomanda al nostro Paese di sostenere le Regioni più deboli, per evitare un’evoluzione dell’offerta di servizi (e di miglioramento dei processi operativi) a macchia di leopardo che peserebbe parecchio sull’intero Sistema sanitario nazionale.

E invece, come dimostrano gli ultimi dati resi noti dal Censis nell’ultimo rapporto sulla Pa Digitale, la sanità elettronica in Italia non sta decollando e il divario fra i diversi enti territoriali permane.

Soltanto il 16,7% degli utenti, questo uno dei tanti indicatori emersi, ha prenotato visite mediche online, e appena il 10,6% è ricorso al Web per ottenere accertamenti diagnostici.

Anche l’accesso al Fascicolo Sanitario Elettronico è assai limitato, con appena il 7,6% degli utenti che lo utilizza in alcune regioni virtuose come Emilia Romagna, Trentino e Veneto. L’83% dei cittadini, lo rivela un’indagine Doxa, non sa invece neppure cosa sia.

Le dimensioni della spesa pubblica per la sanità italiana sono impressionanti: 111 miliardi di euro nel 2014, con stime corrispondenti all’8,8 per cento del Pil (fonte Ocse). L’invecchiamento progressivo della popolazione italiana determinerà nei prossimi anni un incremento dei fabbisogni di intervento pubblico, e sarà indispensabile lavorare sull’ottimizzazione dei budget.

Anche per questi motivi, il decollo della sanità digitale nella Penisola è un passaggio obbligato e le priorità che lo accompagnano sono ben chiare e sono state elencate nell’ambito del Patto siglato ormai più di un anno fa da Stato e Regioni.

Difficile, infatti, che la spesa possa aumentare. Dovrà essere razionalizzata e ricalibrata. E radicalmente, sviluppando in modo molto più uniforme su tutto il territorio nazionale la telemedicina, sistemi informativi ospedalieri integrati, soluzioni di unified communication per l’interazione multidisciplinare tra i diversi professionisti coinvolti, acquisti centralizzati di servizi informatici, la condivisione a livello centrale dei dati di acquisto per il monitoraggio della spesa sanitaria , la business continuity e il disaster recovery.

La scarsità degli investimenti destinati alle tecnologie It (hardware, software, Internet of Things, Big Data) rimane il problema più evidente da risolvere per compiere un sostanziale salto in avanti nella qualità della cure. Uno degli ostacoli da superare subito, fanno notare gli esperti, riguarda, la non interoperabilità fra le banche dati delle varie Asl.

E non solo. Si parla, secondo le ultime stime, di una spesa pro capite di 23 euro per la digitalizzazione della sanità in Italia, dato che ci mette all’ultimo posto a livello Ue, a fronte dei 65 euro della Svezia e dei 70 euro della Danimarca che guidano la classifica.

Per stare al passo con l’Europa il nostro Paese dovrebbe incrementare di tre volte gli investimenti ma parte da una posizione non adeguata. Già nel 2010 gli organismi di Bruxelles chiedevano agli Stati membri di investire per dieci anni il 5% del loro budget nella digitalizzazione del settore sanitario; ebbene la media europea è del 2% mentre l’Italia riserva (ad oggi) soltanto l’1,3% delle sue uscite a questo capitolo di spesa.

 

Tag: tecnologia, Internet of things, innovazione, Internet delle cose

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