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La sharing economy è una risorsa. Anche per l’Italia

Il fenomeno genererà in tutta Europa un transato di 570 miliardi di euro nel 2025, nella Penisola potrebbe raggiungere i 25 miliardi rispetto ai 3,5 attuali. In attesa di una legge ad hoc, le aziende impegnate nel business della condivisione sono ancora poche.

Pubblicato il 15 luglio 2016 da Piero Aprile

Il fenomeno genererà in tutta Europa un volume di transato di 570 miliardi di euro nel 2025, nella Penisola potrebbe raggiungere i 25 miliardi rispetto ai 3,5 attuali. con oltre 20 milioni di utenti attivi e con impatti consistenti sul Pil. In attesa di una legge ad hoc, le aziende impegnate nel business della condivisione sono però ancora poche.

Un mercato, almeno in termini potenziali, enorme e da molti ritenuto una possibile leva per la ripresa economica e il rilancio di competitività, soprattutto in molti Paesi oggi in grave sofferenza.

Secondo un recente studio di PriceWaterhouse Coupers il giro d’affari della sharing economy potrebbe valere, in termini di volumi di transato, 570 miliardi di euro entro il 2025.

Un valore 20 volte superiore a quello attuale, che si aggira attorno ai 28 miliardi di euro e cresciuto del 77% fra 2015 e 2014, e in grado di assicurare alle piattaforme che operano in questo ambito nel Vecchio Continente ricavi per 83 miliardi di euro (oggi siamo a 3,6 miliardi, un valore raddoppiato negli ultimi dodici mesi).

Cinque i settori, secondo gli analisti, che guideranno l’esplosione dell’economia di condivisione: i trasporti, gli alloggi, la finanza collaborativa, servizi domestici e professionali on demand.

A livello geografico, invece, lo studio evidenzia come i Paesi maggiormente attivi nella sharing economy sono quelli del Nord Europa. Germania e Gran Bretagna, nello specifico, registrano più di 50 imprese già operative sul mercato, Olanda e Spagna tra 15 e 30, Italia e Polonia meno di 25.

Il dato non è come intuibile particolarmente edificante e mette il Belpaese (almeno per il momento) ai margini di una transizione di mercato, tecnologica e culturale, che in pochi anni potrebbe rappresentare un pilastro fondamentale su cui edificare la ripresa dell’economia.

Le imprese italiane sono quindi in ritardo anche in questa espressione della rivoluzione digitale e uno dei possibili motivi è la mancanza di una regolamentazione dedicata. Lo scorso marzo è stata presentata alla Camera dei Deputati, dall’Intergruppo Innovazione, la proposta di legge di “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione”, ribattezzata “Sharing Economy Act”, a cui è seguita l’apertura di una consultazione pubblica chiusa lo scorso 31 maggio.

Sull’argomento, molto delicato per le sue ripercussioni sulle dinamiche di offerta di alcuni servizi, è intervenuto pubblicamente nei giorni scorsi, in audizione alle Commissioni riunite Trasporti e Attività produttive, il garante per la Privacy, Antonello Soro.

Chiamato a dare il proprio parere sulla proposta di legge di cui sopra, Soro ha ricordato innanzitutto come “l’economia della condivisione promuove nuove forme di consumo tra gli utenti, più convenienti di quelle tradizionali, e ridisegna interi segmenti di mercato, dal car sharing alle locazioni immobiliari”. 

Il Garante ha poi giustamente specificato come “le informazioni sugli individui rappresentano il bene economico principale per le imprese, ma una raccolta incontrollata ne aumenta in modo esponenziale la vulnerabilità. In un'economia fondata sui dati – questo il punto focale del messaggio lanciato da Soro - sarebbe davvero strano non proteggerli. Noi siamo i nostri dati, e da qui dobbiamo partire”.

Al di là delle misure già contenute nella proposta di legge, come il Registro elettronico nazionale delle piattaforme digitali votate alla sharing economy, l’authority suggerisce di focalizzare l’attenzione sulla massima trasparenza dei dati raccolti, sulle modalità con le quali sono gestiti e sui luoghi in cui possono essere conservati anche attraverso “specifiche misure di sicurezza”.  

Sarà fondamentale, a detta di Soro, che vengano rispettate le prescrizioni introdotte dal nuovo regolamento europeo sulla Privacy, che entrerà in vigore a metà del 2018 e richiama a un ordinamento che già esiste, per “responsabilizzare i titolari delle imprese all'adozione di modelli organizzativi e tecnologici sicuri. “Una uniforme applicazione delle regole a tutti gli operatori – ha aggiunto ancora il Garante - è prerequisito essenziale per un vero mercato concorrenziale”.

 

Il fenomeno in Italia

Tre miliardi e mezzo di euro. Tanto vale la sharing economy italiana secondo la ricerca commissionata da PHD Italia all’Università degli Studi di Pavia (Dipartimento di Scienze economiche e aziendali), uno dei primi studi che quantificano l’impatto economico complessivo dell’economia collaborativa nel nostro Paese, e quindi delle transazioni prodotte attraverso le piattaforme digitali con un modello di business basato sul noleggio o la condivisione di beni e servizi, allo scopo di ridurre il sotto-utilizzo e l’uso inefficiente degli stessi.

Per effettuare la ricerca è stato creato un modello economico ad hoc, battezzato Shaker (Sharing Key Economic Resources), un approccio cognitivo che permette di interpretare e modellare qualunque fenomeno, economico (così come fisico, sociale, psicologico), costruendo scenari.

“Quello della sharing economy – commenta Luciano Canova, docente di Economia Comportamentale all’Università di Pavia – è sicuramente un tema caldo del dibattito scientifico ma mancano ancora modelli di valutazione di impatto economico, per cui abbiamo provato a quantificare il peso economico dei settori coinvolti dall’economia collaborativa e a modellare l’evoluzione da qui a 10 anni del Pil”

In termini di Prodotto interno lordo, la sharing economy in Italia vale oggi lo 0,2% ed  equivale al 10% circa delle risorse stanziate dalla legge di stabilità 2016. Nei prossimi cinque/dieci anni si potrebbe salire a un’incidenza dello 0,55 prima e dello 0,7% in seguito.

A seconda degli scenari ipotizzati, si arrivano infatti a toccare cifre che variano dagli 8,8 ai 10,5 miliardi di euro per il 2020 e dai 14,1 fino ai 25,2 miliardi di euro per il 2025.

Un primo scenario è basato sull’ipotesi che a decollare sia la popolazione di utenti della sharing economy, dagli attuali 6,4 milioni a 11,5 milioni nel 2020 e 16,5 milioni nel 2025. In termini di valore aggiunto per l’economia, nel 2020 il valore della sharing economy è previsto in 10,2 miliardi di euro (+16% rispetto allo scenario base) e, nel 2025, in 19,4 miliardi (+37% rispetto allo scenario base).

Lo scenario “digital disruption” è quello più ottimista, perché ipotizza non solo l’incremento degli utenti della sharing economy (11,6 milioni nel 2020 e 21,4 milioni nel 2025), ma anche un allargamento della popolazione di internauti in assoluto all’interno di tutte le fasce, frutto degli investimenti sulle infrastrutture digitali che andranno probabilmente aumentando. L’impatto economico dell’economia collaborativa risulterebbe pari a 10,5 miliardi nel 2020 (0,6% sul Pil) e a 25,2 miliardi di euro nel 2025 (1,38%).

E se si trattasse di una bolla? La ricerca prova a rispondere anche a questa domanda e ipotizza, per il 2025, un valore di soli 4 miliardi di euro, dopo aver raggiunto un picco di 14 miliardi di euro nel 2019.

 

Tag: INTERNET, Italia, digitale, Scenari

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