12/10/2022 di Valentina Bernocco, Elena Vaciago

La trasformazione digitale in Italia prova a non fermarsi

I progetti a maggior tasso di innovazione, supportati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si scontrano con le difficoltà dello scenario geopolitico e macroeconomico. E portano nuove sfide alle aziende.

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Il digitale aiuterà l’Italia a uscire dalle difficoltà del presente? Questa è una domanda che in molti – cittadini, aziende, Pubblica Amministrazione e governi – si sono posti dopo quei primi lockdown del 2020, che avevano evidenziato l’urgenza di una trasformazione tecnologica della nostra società, dei servizi pubblici e del sistema delle imprese. Come ben sappiamo, il digitale nelle sue molteplici forme è stato essenziale per preservare la continuità di molte attività (dal commercio al lavoro in azienda, dai servizi sanitari a quelli degli enti locali). Oggi quella domanda è più attuale che mai. Passata la fase più drammatica della pandemia, ora è il contesto internazionale politico ed economico a porre nuove sfide: la guerra russo-ucraina e la grave crisi energetica hanno determinato un’inflazione elevata, unita a una bassa crescita dell’economia e a grandi incognite sul futuro di cittadini e imprese. Per traghettarsi verso questo futuro, pensando non soltanto alla resilienza di fronte alle crisi (sanitarie, politiche, economiche) ma a una vera trasformazione della società, l’Italia ha però a disposizione le notevoli risorse del Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, varato nell’aprile del 2021 ed entrato ormai nella fase operativa: 191,6 miliardi di euro in tutto, tra sovvenzioni (69 miliardi) e prestiti (122,6 miliardi), distribuiti su sei “Missioni” titolate, nell’ordine, “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”, “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, “Istruzione e ricerca”, “Inclusione e coesione” e “Salute”. Non soltanto nella prima, come evidente, ma anche nelle restanti cinque Missioni il digitale gioca un ruolo importante. Da un’analisi realizzata da The Innovation Group risulta che, sui 134 investimenti previsti dal Pnrr, 60 includono una componente digitale più o meno significativa.

Un percorso a tappe
Sulla carta, l’Italia sta rispettando la tabella di marcia. Su un totale di 527 obiettivi (sia qualitativi sia quantitativi) da raggiungere entro il 2026, a giugno di quest’anno ne erano già stati completati 96, soprattutto però di natura qualitativa.  Da Bruxelles una prima tranche di risorse, pari a 24,5 miliardi di euro, è già stata erogata  a titolo di prefinanziamento nell’agosto del 2021. A fine settembre di quest’anno è poi giunta dalla Commissione Europea una valutazione preliminare positiva che certifica il raggiungimento dei 45 traguardi e obiettivi che avrebbero dovuto essere, e sono stati, completati entro la fine del primo semestre 2022. E con il giudizio positivo è stata sbloccata la seconda seconda rata (da 21 miliardi di euro) dei finanziamenti del Recovery Fund destinati all'Italia. Fra i traguardi già raggiunti spiccano le riforme nei settori dell'impiego pubblico, degli appalti pubblici, della professione di docente, dell'amministrazione fiscale e dell'assistenza sanitaria territoriale. Inoltre, sono stati assegnati i fondi per investimenti riguardanti la banda ultralarga e il 5G, la digitalizzazione delle scuole, la ricerca, il settore del turismo e della cultura, la riqualificazione urbana e la (da tempo invocata) riforma del sistema giudiziario, oltre che un significativo progetto di transizione energetica teso a creare una filiera di produzione dell’idrogeno. “L'Italia continua a dar prova di un considerevole slancio riformatore in settori strategici fondamentali, quali l'impiego pubblico e gli appalti pubblici. Porgiamo dunque le nostre congratulazioni all'Italia augurandoci che prosegua per questa strada!”, ha dichiarato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, con tanto di punto esclamativo finale. Verrebbe da tirare un sospiro di sollievo, considerando la pluridecennale nomea dell’Italia come “Paese ritardatario” e perennemente rallentato dalla burocrazia e da inefficienze della macchina pubblica. Ora il nuovo esecutivo dovrà sapersi dimostrare all’altezza di chi lo ha preceduto rispettando la prossima tappa, ovvero il completamento di altri 55 traguardi e obiettivi entro la fine dell’anno. Con il semaforo verde di Bruxelles potrà partire, allora, una terza rata di finanziamenti del valore di 19 miliardi di euro.

Va detto che un ruolo importante per il successo del Piano spetta anche agli enti locali, un ventaglio di realtà ampio, che va dalle Regioni ai singoli Comuni. Tra le altre cose, gli enti locali gestiranno progetti che includono una componente digitale più o meno rilevante: per esempio, quelli che riguardano le reti in fibra ottica e 5G, la “migrazione” in cloud dei Comuni, lo sviluppo di nuovi servizi per la cittadinanza e le piattaforme per la valorizzazione del patrimonio culturale. Nella realizzazione dei progetti, le PA locali sono sottoposte a obblighi di monitoraggio, rendicontazione e controllo, nonché a concorrere al raggiungimento degli obiettivi associati al progetto stesso. Nel farlo, devono rispettare sia le normative vigenti sia regole specifiche prescritte dal Pnrr, tra cui quella di non arrecare danno significativo all’ambiente e quella di portare a termine i lavori entro giugno 2026. In caso di irregolarità riscontrate, gli enti locali sono tenuti a correggerle o, se necessario, a restituire le risorse usate indebitamente.

L’occasione da non perdere
Da una ricerca condotta, tra giugno e luglio, da The Innovation Group e Gruppo Maggioli è emerso uno scenario a luci e ombre. E la metafora non è casuale, perché il clima (economico e psicologico) di una guerra non lontana, l’inflazione, la carenza e i rincari delle materie prime e dell’energia incombono minacciosi sul futuro delle aziende italiane, come nuvole cariche di pioggia in un cielo che il Pnrr prometteva invece di rasserenare. Dal sondaggio, titolato “Guerra, strategie aziendali e Pnrr” e realizzato su un campione di 116 aziende e organizzazioni pubbliche italiane, è risultato che il 44% di queste realtà non aveva ancora avviato, al momento dell’indagine, alcuna iniziativa legata al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il 33%, invece, stava rivedendo i propri piani di investimento o strategie di budget, è questa è la percentuale più elevata tra le attività in qualche modo legate al Pnrr. Non molti, il 26%, coloro che si erano già informati sulle opportunità da cogliere consultando uno dei portali Web istituzionali sul Piano (come “Capacity Italia” o “Italia Domani”) e ancor meno, il 24%, coloro che avevano avviato una riorganizzazione dei processi interni o modelli di governance. E pochissime, si scende alla cifra singola, sono le aziende che stanno assumendo personale specializzato per supportare le attività del Piano e quelle impegnate nella semplificazione della burocrazia.

I pensieri delle aziende italiane, d’altra parte, oggi comprensibilmente si dirigono altrove, verso le “ombre” di cui parlavamo. E tuttavia proprio in questo momento storico è importante non trascurare il Pnrr, e per due motivi: perché il treno sta passando adesso, e un domani potrebbe essere tardi per intercettare le risorse a disposizione; e perché la trasformazione digitale è un fattore di resilienza, che aiuta ad ammortizzare il colpo delle crisi. Dall’indagine è emerso che, in effetti, le paure sono diffuse. Il rincaro delle materie prime, in particolare, preoccupa la stragrande maggioranza delle aziende: il 52% degli intervistati crede che esso impatterà molto (22%) o moltissimo (30%) sull’andamento del business, il 27% ha risposto “abbastanza” e solo il 14% e il 7% hanno risposto, rispettivamente, “poco” o “per niente”. Estesi timori riguardano anche l’aumento dei prezzi dell’energia (il 45% pensa che impatteranno “molto” o “moltissimo”), la carenza di materie prime e le strozzature o ritardi delle catene di fornitura. Altre ombre sulle prospettive di successo del Pnrr nelle aziende si stagliano indipendentemente dallo scenario economico e di mercato contingente. Gli intervistati considerano come fattori critici lo scarso coinvolgimento delle imprese nella predisposizione dei progetti (elemento citato dal 47% del campione), la difficoltà a reperire sul mercato del lavoro le giuste competenze (45%), la scarsa chiarezza nella definizione dei singoli progetti da realizzare (42%). In tutto questo, c’è comunque un dato positivo: la tecnologia resta per molti un investimento critico per superare questa fase: il 71% delle aziende e degli enti intervistati ha detto di voler incrementare la spesa in prodotti e servizi IT, proprio in conseguenza dell’attuale situazione macroeconomica e di mercato.

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