La shortage economy non aiuta il settore manifatturiero. Quest’anno, come noto, l’energia, le materie prime dell’industria delle lavorazioni meccaniche e anche le materie prime dell’industria alimentare hanno avuto un’ulteriore contrazione in termini di disponibilità, inaugurando un probabilmente lungo periodo di scarsità che gli imprenditori del settore ora devono affrontare. A ciò si somma l’effetto psicologico sui mercati (tutti i mercati a parte l’industria bellica), di clienti e consumatori spaventati dal rischio di un allargamento del conflitto. Se la possibilità concreta che vengano bloccate completamente le importazioni di gas dalla Russia causerebbe il fermo di molte imprese, il rincaro dei costi energetici già sta provocando l’interruzione a singhiozzo della produzione, che in alcuni casi risulta ormai antieconomica.
Da fine estate si moltiplicano i segnali di allarme di analisti e imprenditori soprattutto per i costi dell’energia (in particolare il gas), arrivata a vedere decuplicato il suo prezzo e a rendere troppo onerosi i processi di alcuni comparti, primi tra tutti quelli delle ceramiche, dell’acciaio e della carta. Forse anche per questo, la produzione industriale in Italia, dopo una fase di crescita proseguita a dispetto della guerra, ha poi subìto tra maggio e giugno un’inversione di tendenza, mostrando per la prima volta in dodici mesi un indice negativo sia rispetto al mese precedente sia su base annua.
Il futuro non appare roseo e, a parte l’auspicabile mitigazione dell’impennata dei costi da parte di organismi nazionali ed europei, non sembra profilarsi all’orizzonte nessuna soluzione di lungo periodo per questo nuovo scenario, se non l’implementazione dei succitati blocchi di produzione (da alcuni, come detto, già attuati) o di politiche di ottimizzazione energetica in chiave strategica e di lungo periodo.
Dieci raccomandazioni per guardare avanti
Per molti osservatori, la richiesta di sostenibilità e la circolarità arriva e ancor più in futuro arriverà dalla domanda. I nostri figli compreranno probabilmente (e auspicabilmente?) automobili elettriche prodotte solo di notte, con costi e ottimizzazioni nel consumo di risorse ed energia; tanti useranno i beni “as a service”, senza necessariamente doverli acquistare. Le spinte dall’esterno e dall’interno sono quindi ormai un fatto incontrovertibile, tanto che la World Manufacturing Foundation ha fatto della circolarità il tema principale del piano strategico quinquennale 2020-2025 e anche del proprio rapporto 2021. L’approccio è piuttosto ampio: tratta di una circolarità a 360 gradi (mi si perdonerà il gioco di parole), che abbraccia già la fase di concepimento e progettazione dei prodotti e che richiede un grande sforzo culturale, oltre che tecnologico. È per questo che molte delle dieci raccomandazioni tracciate dalla World Manufacturing Foundation sono relative alla promozione della cultura e alla creazione di un mindset appropriato, elementi indispensabili per arrivare a una vera applicazione della circolarità e quindi sostenibilità.
La prima raccomandazione è la promozione di una mentalità focalizzata sulle opportunità offerte dall’economia circolare e sul ruolo chiave delle tecnologie digitali. La seconda è la promozione dei concetti di circolarità nei confronti dei consumatori, in modo che siano proattivi e scelgano su una base di consapevolezza (ma abbiamo visto che in questo caso il rischio è che i consumatori siano anche più avanti dell’offerta). La terza è lo stimolo a iniziare una fattiva cooperazione tra stakeholder che porti alla costruzione di catene del valore circolari. Un esempio sono le best practice del re-manufacturing e del de-manufacturing, ma non solo. Le successive tre raccomandazioni sono anch’esse espressione della volontà di formare, comunicare e convincere, perché fanno riferimento ad azioni di promozione più che di revisione dei processi industriali: spingere modelli di business che abbracciano la circolarità, implementare politiche globali che riconoscano il digitale come principale abilitatore della manifattura circolare e promuovere misure economiche volte a favorire la transizione e l’adozione del digitale (il ben noto blue & green). Le ultime quattro indicazioni sono per molti versi le più interessanti, perché introducono una componente di “azionabilità” tangibile: realizzare piani di formazione in ambito digitale per la forza lavoro coinvolta nei processi di manifattura circolare, sfruttare i dati a disposizione per supportare la transizione, aiutare le Pmi nella transizione alla manifattura circolare e individuare le eventuali criticità tipiche del digitale che possono impattare negativamente sull’ambiente per affrontarle e risolverle in tempo utile.
Costi energetici e sostenibilità
Anche se il tema dei combustibili fossili e del loro ciclo è ben presente negli schemi generici dell’economia circolare e della transizione ecologica, paradossalmente esso non compare in alcuni documenti importanti come, tanto per fare un esempio, il diagramma dell’Economia Circolare di Closed Loop Partners, che li colloca all’interno della voce generica “Estrazione di Materie Prime”, una voce che, ovviamente, è destinata, nella visione circolare, ad essere tagliata e ottimizzata. Closed Loop Partners si concentra piuttosto, come era naturale fino a pochi mesi fa, su punti altrettanto importanti (e per i quali c’è ancora moltissimo da fare) come il “design for durability”, l’utilizzo di sostanze chimiche e materiali non dannosi per la salute, l’utilizzo di materiali riciclati e riciclabili, la distribuzione ottimizzata dei prodotti e il remanufacturing.
La crisi energetica scatenata (ma non causata direttamente) dalla guerra in Ucraina non ha solo messo allo scoperto la debolezza del sistema di approvvigionamento e scambio dei combustibili fossili, ma ha anche svelato la fragilità delle fonti alternative: in Francia più della metà delle centrali nucleari è stata colta dalla crisi mentre era in una fase di manutenzione, quindi non completamente operativa e non in grado di assorbire la minor disponibilità di gas e petrolio per la generazione di energia elettrica. La realizzabilità, in tempi brevi, di centrali elettriche a energia solare o eolica è notoriamente ostacolata sia da problemi tecnici e strutturali (mancano anche le materie prime per costruire pannelli e componenti) sia da lacci e lacciuoli di carattere legislativo e normativo.
Insomma, non avevamo ancora finito di metabolizzare come, a nostre spese e spese delle imprese manifatturiere, fosse fragile la struttura economica e logistica frutto della globalizzazione (shortage di materie prime, carenza di chip) che siamo stati investiti da un problema ancora più impattante, quello dei comparti industriali più energivori, che spesso (pensiamo all’acciaio) fanno parte di filiere più complesse la quali potrebbero essere comunque bloccate o compromesse anche se non direttamente colpite dall’incremento dei costi energetici.
Al momento, quello della disponibilità di gas e dei costi dell’energia elettrica è il problema che, più di ogni altro, tiene svegli imprenditori e manager del comparto manifatturiero (e non solo). Un problema che va risolto anche a livello culturale (la “fine dell’abbondanza” citata da Macron, tanto per fare un esempio) e politico, ma che deve essere inserito di prepotenza e con priorità massima anche nei progetti di manifattura circolare e sostenibile, pena il fallimento di ogni tentativo, ancorché geniale e virtuoso, di ottimizzare processi progettuali, produttivi e logistici.